Progetto, realizzato in collaborazione con Massimo Paolone, esposto al Festival Sottosopra di Pontremoli (MS).
Secondo stime non
ufficiali di Ong che operano sul territorio turco, dal 1990 ad oggi
circa 4500 villaggi kurdi sono stati rasi al suolo dall’esercito
turco, che ha cosparso i terreni circostanti di mine e bombe
inesplose per impedire il rientro dei loro abitanti; 37.000 Kurdi sono
stati uccisi e circa 3.000.000 persone sono state costrette ad un'emigrazione forzata.
Solo nel campo profughi
di Ayazma, alla periferia di Istanbul e a due passi dall’imponente
stadio internazionale Ataturk, negli anni 90 si contavano circa 4000
famiglie di rifugiati kurdi costrette a vivere nella povertà più
assoluta e in condizioni igieniche e umane deprecabili.
Ad Ayazma non c’era ne acqua potabile ne elettricità, ma solo macerie e gegekondu (baracche costruite in una notte) in mezzo a fogne a cielo aperto. Gli abitanti soffrivano di denutrizione cronica, il tasso di disoccupazione era altissimo, e ogni sorta di malattia colpiva soprattutto i bambini con un tasso di mortalità infantile elevato, tanto che su una collinetta circostante era stato allestito un cimitero per i bambini. Grazie ad alcune associazioni umanitarie, in seguito sono stati organizzati all’interno del campo dei corsi sanitari per minori e donne e due corsi scolastici (di alfabetizzazione e d’animazione). Gli abitanti di Ayazma sono riusciti inoltre a costruire un rudimentale impianto idrico, dopo di che il Comune ha fatto prontamente pervenire al campo le prime bollette.
Ad Ayazma non c’era ne acqua potabile ne elettricità, ma solo macerie e gegekondu (baracche costruite in una notte) in mezzo a fogne a cielo aperto. Gli abitanti soffrivano di denutrizione cronica, il tasso di disoccupazione era altissimo, e ogni sorta di malattia colpiva soprattutto i bambini con un tasso di mortalità infantile elevato, tanto che su una collinetta circostante era stato allestito un cimitero per i bambini. Grazie ad alcune associazioni umanitarie, in seguito sono stati organizzati all’interno del campo dei corsi sanitari per minori e donne e due corsi scolastici (di alfabetizzazione e d’animazione). Gli abitanti di Ayazma sono riusciti inoltre a costruire un rudimentale impianto idrico, dopo di che il Comune ha fatto prontamente pervenire al campo le prime bollette.
Dal 2007 la municipalità
di Istanbul ha iniziato a mettere in pratica il progetto di
riqualifica urbanistica dell’area, varato dal governo, procedendo
all’abbattimento del campo rifugiati alla periferia della
metropoli. Ai proprietari delle capsule di Ayazma, ed inizialmente
anche ad alcune famiglie, il governo aveva messo a disposizione a 135
euro al mese alcuni appartamenti nel nuovo quartiere delle Torri: 52
palazzoni di 12 piani l’uno a 10 km da Ayazma. Per la maggior parte
delle famiglie curde che si erano trasferite nelle Torri il costo dell’affitto era troppo elevato, tanto che molte persero nuovamente la casa.
Una quindicina di nuclei
famigliari, quelli che non avevano colto prontamente la proposta del
governo turco opponendosi alla sua politica di dispersione e
assimilazione, avevano perso sia la possibilità di alloggiare nelle
capsule, sia quella di ottenere un trasferimento nelle torri.
Al nostro arrivo, nel
luglio del 2008, le condizioni di vita degli abitanti di Ayazma ci
sono apparse peggiorate rispetto ai racconti e alle informazioni che
avevamo raccolto sul campo curdo. Ad Ayazma erano rimasti circa 115
abitanti, tra i quali 60 bambini. Vivevano in 18 tende arrangiate
come avevano potuto: qualche mattone, qualche pezzo di legno, coperte
e cellofan all’esterno per proteggersi dalla luce e dalla pioggia. Il tasso di disoccupazione rimaneva elevato e per i rifugiati era difficilissimo ottenere la “carta verde” necessaria per l’assistenza sanitaria e sociale di base. Il servizio sanitario turco somministrava solo il vaccino antipoliomelitico, ignorando le vaccinazione contro tutte le altre malattie infettive facilmente riscontrabili in quest’area geografica. Un buco scavato in una piccola tenda costituiva il bagno
per tutta la gente del posto. In tutta la baraccopoli c'era un'unica fonte dove attingere
l’acqua, che arrivava grazie al rudimentale impianto idrico autocostruito. Quando c’era la partita di calcio allo stadio, l’elettricità andava via. Gli abitanti di Ayazma continuavano a pagare ovviamente sia le
bollette dell’acqua sia quelle della luce. Solo 32 dei
60 bambini frequentavano la scuola. Molti minori del campo avevano negato il diritto allo
studio, in quanto essendo rifugiati per lo Stato turco era come se non
esistessero. Tutto intorno alle baracche c’era la distruzione:
resti delle gegekondu abbattute dalle ruspe, fogne a cielo aperto e
topi che razzolavano fin dentro le tende.
Inoltre il governo turco aveva già iniziato la demolizione della baraccopoli, prevista entro la fine del 2008, per costruire al suo posto un centro residenziale.
“Nasname” in curdo
significa identità. Un’identità che lo Stato turco vuole negare,
disperdere, nascondere, ma che i rifugiati di Ayazma, nonostante le mille
difficoltà, hanno continuato a difendere con tutta le loro forze fino ed oltre l'abbatimento dell'ultima gegekondu.